“La domanda di vino inglese è talmente alta che non riusciamo a stare al passo. Il locale è migliore quando la qualità è buona. Poiché siamo un’industria giovane, siamo in grado di mettere al centro dei nostri progetti il fondamentale aspetto della sostenibilità”.
A discutere, in questo caso, sono i coltivatori e gli imprenditori enologici inglesi. Si tratta di un mercato, quello del Regno Unito, che ha visto quadruplicarsi negli ultimi vent’anni gli ettari dedicati alla vite. Il Regno Unito, infatti, ha riscosso una notevole crescita nella produzione e nella popolarità del vino inglese, mettendo in ombra la tradizionale preferenza per lo champagne francese. Il cosiddetto movimento “buy local” ha ulteriormente contribuito all’aumento delle vendite, con il Regno Unito che ha ottenuto un numero record di medaglie ai Decanter World Wine Awards. La sostenibilità è stata, tra l’altro, un focus essenziale per i viticoltori britannici, i quali tra le altre cose stanno lavorando a progetti per calcolare l’impronta di carbonio del vino inglese.
Basti pensare alle minori emissioni dovute al trasporto locale, rispetto al vino importato: soltanto per questo risvolto ottimale i punti messi a segno sono già notevoli, secondo l’opinione di esperti e consumatori. “La viticoltura è ora il settore agricolo britannico in più rapida ascesa, con previsioni di produzione di 22 milioni di bottiglie di vino all’anno entro il 2030, rispetto ai circa 12 milioni dell’anno precedente” hanno confermato gli studiosi del fenomeno. Secondo Hamish Anderson, CEO di Tate Enterprises, che gestisce gli eventi e i ristoranti delle gallerie d’arte Tate, servire vino inglese è un metodo evidente per sottolineare la sostenibilità, una priorità per gli organizzatori di eventi. La crescente richiesta di sostenibilità da parte dei clienti trova risposta nel vino spumeggiante ma tranquillo tipico del Regno Unito.