“Esperimenti moderni nel sud della Francia confermano i benefici dell’agro-forestazione, come la protezione dalle gelate e la presenza di insetti benefici. In un mondo che si riscalda, l’approccio romano all’agro-foresteria della vite offre spunti preziosi per affrontare le sfide climatiche contemporanee”.
Questo è quanto emerso da alcune recenti ricerche, le quali hanno unito archeologia enologica, storia e lotta contro il cambiamento climatico. Come ben sappiamo, infatti, la vinificazione nell’antica Roma rappresentava un’attività diffusa e redditizia, con la coltivazione della vite che dominava l’intero paesaggio agricolo. Nonostante i Romani consumassero più vino rispetto a oggi, i vigneti avevano un aspetto completamente diverso, poiché le viti crescevano in alto tra gli alberi: si trattava di un sistema noto come arbustum.
Come spiegano gli stessi storici e scienziati coinvolti nella ricerca multidisciplinare in questione: “L’arbustum consisteva nel collegare le viti a filari di alberi in campi coltivati anche con cereali e ortaggi, una tecnica comune nell’epoca romana. Questa pratica era motivata dalla necessità di sussistenza dei contadini, combinando diverse colture su piccole aree. La scelta di alberi a crescita rapida con abbondante fogliame proteggeva le viti dagli animali curiosi, come suggerito da Plinio e Columella”. Le principali specie arboree sfruttate erano pioppi, olmi, ontani, salici, aceri e frassini. Tutte piante che crescono bene nelle zone umide perché hanno bisogno di molta acqua per sostenere la loro rapida crescita e gli alti tassi di traspirazione. L’agro-foresteria della vite si è estesa durante l’optimum climatico romano, periodo di temperature più calde tra il 200 a.C. e il 200 d.C.