Il vino ha una storia intrinsecamente legata alle pratiche culturali e religiose, specialmente nel contesto dei vini kosher, all’interno dei quali emergono due categorie principali: i vini mevushal e quelli non mevushal. Il termine “mevushal” in ebraico significa “cotto” e fa riferimento proprio a un processo in cui il vino viene riscaldato a una temperatura specifica per renderlo kosher senza compromettere la purezza religiosa.
Questo consente ai vini mevushal di essere maneggiati dai non ebrei senza perdere il loro status kosher, ma il trattamento termico può influenzare il gusto e il potenziale d’invecchiamento. D’altra parte, i vini non-mevushal sono prodotti senza il suddetto trattamento termico, seguendo il naturale processo di fermentazione. Questi vini sono considerati più delicati in termini di osservanza religiosa e sono spesso preferiti per quanto concerne le cerimonie e gli eventi religiosi. “La scelta tra le due categorie dipende dalle preferenze individuali, dalle osservanze religiose e dall’uso previsto del vino. – spiegano in un approfondimento alcuni esperti di cultura ebraica – I vini mevushal sono adatti a situazioni in cui il vino deve essere maneggiato da persone non ebraiche, mentre i vini non-mevushal offrono un’esperienza di degustazione più autentica e un potenziale di invecchiamento più lungo.
In definitiva, entrambe le opzioni offrono qualità uniche nel mondo dei vini kosher, e la scelta tra praticità di manipolazione e conservazione delle caratteristiche originali del vino è lasciata alle preferenze individuali”. Dal punto di vista sensoriale, i vini mevushal possono avere aromi influenzati dal processo di riscaldamento, con sapori talvolta descritti come note di frutta leggermente cotta. In contrasto, i vini non-mevushal conservano meglio gli aromi originali grazie al processo di fermentazione naturale.