Ci è già capitato, in passato, di presentarvi alcune novità e alcuni traguardi ottenuti dai cosiddetti vini arancioni, o orange per dirla all’inglese, sempre più “quotati” dalle riviste specializzate e presenti sugli scaffali delle migliori enoteche e cantine. Si tratta di una tipologia, di una tecnica produttiva, che può confondere i consumatori meno avvezzi: si potrebbe essere tentanti, in effetti, di conservarli a basse temperature in frigo, ma scopriremo poi al momento della tanto attesa degustazione dei tannini “appiccicosi” e un retrogusto amarognolo nel palato.
Questo perché la tecnica di produzione dedicata ai vini arancioni prevede sì l’utilizzo di uve bianche (le quali conservano, tra l’altro, gran parte della loro colorazione) ma vengono poi processate attraverso tecniche riservate ai vini rossi. L’istinto ci porterà sovente a volerli conservare a temperature che oscilleranno fra i 7 e i 12 gradi, quando in realtà andrebbero seguite le regole dei rossi classici, ovvero temperature leggermente inferiori a quella dell’ambiente: tra i 14 e i 20 gradi centigradi.
“Penso al vino arancione più come a un rosso di corpo leggero che come a un bianco e credo che le persone debbano disabituare il loro cervello a pensare che un’uva bianca equivalga a un trattamento come vino bianco. – spiega Brianne Day, ex tastemaker di Wine Enthusiast e proprietaria di un’azienda che produce svariati vini orange – Quel tipo di granulosità che si ottiene a volte dal contatto con la buccia, con alcuni tipi di uva, può risultare fastidiosa in alcune circostanze e a certe temperature. Il freddo può esacerbare questo aspetto”.