L’elenco degli effetti indesiderati e dannosi che il cambiamento climatico porta con sé, formano una schiera di cui non si vede né il capo né la coda. Moltissime di queste conseguenze abbiamo già avuto modo di eviscerarle ed esaminarle assieme.
Oggi però, direttamente dagli studi e dalle previsioni effettuati negli ultimi anni in Nuova Zelanda, abbiamo modo di portarne alla luce uno nuovo: sembrerebbe che, per via (tra i vari fattori) dei climi più caldi e delle vendemmie sempre più anticipate, in futuro saranno man mano più diffusi e di più facile produzione i vini dolci ad alta gradazione alcolica. Fra i molti scienziati al lavoro sui cicli in mutamento troviamo Ali Lowrey, dell’Università di Auckland, il quale ha colto segnali di drastici cambiamenti già nel 2017. Già allora si poteva notare che il momento della raccolta si avvicinava gradualmente verso fine gennaio, rispetto l’abituale marzo: “Il problema delle finestre di raccolta anticipate è che l’uva è sufficientemente matura in termini di zuccheri e acidi, ma non ha avuto il tempo necessario per sviluppare tutti questi complessi composti chimici che aggiungono complessità al vino”. Un aumento dello zucchero, con conseguenti vini carichi di corpo e dolcezza.
Ma anche con una lievitazione in grado di produrre molto più etanolo, aumentando conseguentemente anche la gradazione. I vini della nazione in oggetto si aggirano comunemente intorno ai 12.5% di volume alcolico, ma secondo questi studi nei prossimi anni ci saranno molte più bottiglie nella fascia del 14% e oltre. Il problema, come ben sappiamo, è globale: “Se le temperature aumenteranno di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, Paesi produttori di vino come Spagna, Italia e Francia potrebbero perdere fino all’85% della loro attuale area di produzione entro il 2050”. Mentre zone come quelle neozelandesi potrebbero, nonostante tutto, supplire al danno, giocando un ruolo sostitutivo importante per il futuro della scena vinicola mondiale.