Ci è già capitato di raccontarvi dell’antichissima tecnica del vino marino, ma questa volta, complici anche i nostri rinnovati e più ampi spazi, abbiamo deciso di andare letteralmente e metaforicamente “più a fondo”! Stiamo parlando di una metodologia vecchia di secoli, millenni: una prelibatezza sicuramente conosciuta già nell’antica Grecia.
Oggi un viticoltore italiano di nome Antonio Arrighi ha attirato, in tal merito, l’attenzione di appassionati e giornalisti da ogni parte del mondo. Nel 2018 ha, infatti, deciso di far rivivere la secolare tradizione, immergendo un cesto d’uva nel Mar Mediterraneo per dar vita al rinomato “vino marino”. Un legame, quello greco con le produzioni dell’arcipelago toscano, ben saldo dall’antichità, come dimostrano i numerosi vasi di vino greci in terracotta rinvenuti sul fondale marino. Non troppo distante dagli stessi vigneti di Arrighi!
I mercanti greci si fermavano spesso, ad esempio, all’isola d’Elba di ritorno da Marsiglia, dove il vino marino era molto richiesto. Dopo più di 2000 anni l’imprenditore nostrano ha quindi deciso di far risorgere questa tecnica, producendo 240 bottiglie chiamate “Nesos”. Immergendola nel mare, l’uva salata perdeva in maniera naturale lo strato bianco e ceroso della sua superficie, asciugandosi poi rapidamente alla luce del sole. Un metodo che certamente aiutava e aiuta a preservarne al meglio gli aromi.
Per i primi esperimenti, Arrighi si è fatto aiutare da tre sommozzatori, i quali hanno provato a immergere uve locali in trappole per aragoste, immergendole a differenti profondità per differenti durate di tempo. Si è poi passati, o ritornati seguendo un’ottica storica, alla terracotta. “Non ho mai bevuto un vino del genere in vita mia – ha commentato il coraggioso viticoltore – Quest’antica tecnica marina permette di viaggiare nel tempo e di apprezzare gli albori stessi della produzione del vino. Permette di comprendere meglio i segreti della natura”.