La vita maledetta del genio Modì
Come un punker ante-litteram, in ultimo ucciso da quell’attitudine maudit che ha incarnato per tutta la sua vita artistica. Amedeo Clemente Modigliani da Livorno abusava di alcool e sostanze stupefacenti, in primis l’hashish, di cui ha iniziato a fare abbondante uso sin dalla più tenera età, fino al sopraggiungere di una morte prematura a Parigi, all’età di soli 36 anni.
Artista autodidatta, nato in una famiglia finanziariamente in bancarotta, in adolescenza si ammalò di febbre tifoide e contrasse la tubercolosi, malattie che lo costrinsero a lunghe convalescenze domestiche durante le quali iniziò a dipingere e, successivamente, a bere smodatamente. Frequentò le scuole di Belle Arti di Firenze e di Venezia, infine emigrò a Parigi all’età di 22 anni. Nella Ville Lumière, Modì frequentò le principali avanguardie artistiche e conobbe Picasso di cui divenne da subito ambivalente amico-nemico. Dipingeva in sessioni rapide nelle quali ritraeva i suoi soggetti fino a spogliarli nell’intimo del loro animo, compresa Elvira, sua prostituta-amante-musa.
A Parigi Modigliani era di casa a Montparnasse, il quartiere degli artisti e del maledettismo, dove si faceva largo uso di assenzio e hashish. Sempre elegante, aveva una personalità vulcanica come amò descriverlo il suo grande amico Gino Severini. Sempre con lui a Parigi c’era poi Maurice Utrillo, artista e compagno di bevute, nato e morto alcolista. Modigliani, l’artista bohémien, viveur in perenne condizione di mancanza di soldi, sempre in preda a breakdown alcolico e a una inconsolabile disperazione. All’indomani della sua morte, stroncato da una meningite fulminante, Jeanne Hébuterne, modella e pittrice incinta di Modì, si uccise gettandosi dalla finestra per il dolore della perdita dell’amato.