O di quel frequente matrimonio tra bere e arte
Truman Capote, Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Mae West, Ian Fleming, Dorothy Parker,Dashiell Hammett, Luis Buñuel, Alfred Hitchcock, Sir Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt erano avvezzi a sorbirne a ogni ora del giorno. Il giornalista e saggista statunitense Henry Louis Mencken ebbe ad affermareche è stata “la sola invenzione americana perfetta al pari di un sonetto”. Stiamo parlando ovviamente del Martini, con tutta probabilità il cocktail più celebrato e iconico di sempre.
L’origine di questo minimale ma perfetto capolavoro della mixologia è incerta: taluni sostengono che sia stato inventato in California nel 1870 dal bartender Julio Richelieu, altri sono convinti che sia una delle creazioni del geniale Jeremiah “Jerry” P. Thomas “the father of American mixology”, soprannominato “Professor” e autore del seminale testo-guida “Bar-Tender’s Guide”. Talatri infine, più inclini alla leggenda, affermano sia stato realizzato per la prima volta da un tale signor Martini, italiano emigrato negli Stati Uniti, che avrebbe servito il drink a John Davison Rockefeller Sr. in persona nell’hotel Knickerbocker di New York nel 1912.
La ricetta del Martini non prevede dibattito: ¾ di gin (no la vodka no, per favore!) e ¼ di vermouth miscelati, versati sul ghiaccio, mescolati e filtrati in una Coppa Martini, il bicchiere dal design più sexy della storia del drinking. La gradazione alcolica di un Martini ben equilibrato è di poco sotto i 30° (per amore della precisione devono essere 29,8°). Il simbolo per eccellenza di tutti i banconi deve essere guarnito in ultimo con un’oliva (o un numero dispari di olive, come vuole la tradizione) posizionata su un bastoncino da cocktail.
I like to have a Martini, two at the very most; three, I’m under the table, four I’m under my host. (Dorothy Parker).