John Cheever e Raymond Carver, compagni di bevute
Siamo nel 1973, è una calda estate sul finire di agosto al Writers’ Workshop, Università dello Iowa, Stati Uniti. 50 anni fa l’università fondata durante la Seconda Guerra Mondiale era considerata la scuola dei Pulitzer Prize. L’uomo che si aggira per lo studentato e bussa alla porta di una modesta stanza di colui che diventerà suo grande amico e compagno di sbronze è John Cheever, uno dei più grandi scrittori americani di short stories.
L’uomo che apre quella porta è Raymond Carver, genio letterario nato a Clatskanie, un paesino con affaccio sul fiume Columbia in Oregon. Cheever ha 61 anni, è appena uscito dal un ricovero in ospdale per una cardiomiopatia dilatativa con delirium tremens causata dall’abuso di alcool e si trova lì in qualità di insegnante di scrittura. Ha bisogno di bere scotch. Carver ha 35 anni, è lì per frequentare i corsi, è tutta la vita che il fuoco sacro della scrittura lo divora, ma non è mai riuscito a domarlo trasformandolo in esito artistico.
Da sempre l’alcool è eterno alleato nel placare i suoi demoni. John è un intellettuale affermato e colto, è sposato e ha amanti donne e uomini, è tormentato dall’incapacità di gestire la sua bisessualità e il suo alcolismo. Raymond viene dalla working classtipica della provincia degli stati interni degli USA, ha già svolto i lavori più umili, ha scritto diverse poesie e non sa che farsene. Nella stanza non c’è traccia di whiskey, la “casa” è in grado di offrire solo una bottiglia di vodka Smirnoff.
I due uomini diventano subito amici di lunghe bevute in pomeriggi e serate alcoliche, passando gran parte del tempo del workshop al bar Mill a bere birra e discettare di letteratura e sessualità. John Cheever riuscirà a divenire sobrio solo nel 1975 in seguito all’ennesimo rehab in una clinica specializzata per alcolisti. Raymond Carver morirà nel 1988, a soli 50 anni, di fatto senza aver mai smesso di bere. «Non facevamo nient’altro che bere» (Raymond Carver).