Agli amanti del vino e dei social, in particolare TikTok e Instagram, potrebbe già esser capitato d’incappare (algoritmi compiacenti) in brevi video turistici in cui viene loro mostrata l’affascinante regione enologica ungherese del Tokaji. Ci troviamo, più precisamente, nel nord-est del Paese, ai piedi dei Carpazi. Ma perché tanto interesse mediatico per una così remota regione? Il segreto risiede, oltre che nelle indubbie qualità del vino prodotto, anche dalle uniche e immersive scenografie che fanno da sfondo alla nascita e alla maturazione di questa varietà di vino.
L’antica tecnica prevede, infatti, che il cosiddetto “vino dei re” venga stipato in tradizionali cantine interrate a cui si accede tramite un basso frontone in pietra triangolare, ricoperto da erba color smeraldo appena al di sopra di esso e accerchiate da decine e decine di loro gemelle. Insomma, una diapositiva mutuata direttamente della Contea Hobbit di Tolkien. Vi sono tre principali varietà bianche coltivate nella regione: Furmint, Hárslevelű e Sárga Muskotály. Il Furmint costituisce circa i due terzi dei 5.400 ettari della regione coltivati a vite. La tecnica del Tokaji prevede uve sottoposte a Botrytis, più comunemente nota come “muffa nobile”.
Si tratta di un fungo che prospera in condizioni di umidità, perfora la buccia dell’uva, facendo sì che il frutto perda acqua e si raggrinzisca, concentrando zuccheri, acidi e aromi. “Il clima continentale è influenzato dalla vicinanza dei fiumi Tisza e Bodrog – spiega un produttore locale – e dalle paludi che si affacciano sui vigneti situati sulle pendici delle colline vulcaniche. Qualche pioggia, non eccessiva, a settembre o ottobre, spesso seguita da un’estate indiana soleggiata e secca, asciuga le uve colpite dalla botrite”.