Il vino, una delle bevande alcoliche più antiche, risalente al 6000 a.C., è profondamente radicato nelle tradizioni di tutti i popoli. Tuttavia, l’industria vinicola sta affrontando le sfide del cambiamento climatico.
Secondo recenti studi, come già temevamo, il 70% delle regioni vinicole mondiali potrebbe diventare inadatto se le temperature globali aumentassero di oltre 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Inoltre, le malattie fungine, già costose da gestire, potrebbero aumentare a causa del riscaldamento globale, gravando ulteriormente sui produttori. Una possibile soluzione arriva dalle uve ibride, come spiegano alcuni ricercatori: “un tempo meno apprezzate rispetto alle varietà tradizionali come il merlot o il malbec. Queste uve, incroci tra la vite europea Vitis vinifera e specie nordamericane come Vitis labrusca o Vitis riparia, sono più resistenti alle malattie e prosperano nei climi più freddi.
Le varietà ibride, già utilizzate in regioni come New York o il Michigan, includono nomi come chambourcin, traminette e vidal blanc”. Sebbene gli ibridi non siano una novità, il loro utilizzo è stato limitato in alcune regioni europee fino al 2021. Tuttavia, paesi come la Germania li coltivano da secoli per la loro resistenza ai funghi e alle malattie. Florian Koch del German Wine Institute sottolinea che l’adozione degli ibridi può ridurre significativamente l’uso di pesticidi, in linea con il Green Deal europeo che mira a ridurre del 50% l’uso dei pesticidi entro il 2030. “Oltre alla riduzione dei pesticidi – hanno poi aggiunto gli esperti – gli ibridi offrono altri vantaggi: resistenza alla luce solare intensa , facilità di raccolta e minore suscettibilità ai funghi grazie ai grappoli più sciolti”.