“La filtrazione a membrana fraziona il vino, trattenendo le molecole più grandi e permettendo alle più piccole di passare attraverso. Questo processo riduce la necessità di additivi come la bentonite, minimizzando le perdite di vino durante la lavorazione”.
A descrivere questa tipologia di tecnologia adibita al miglioramento della tecnica enologica, è il professor Kerry Wilkinson, alla guida di una ricerca focalizzata sulla chiarificazione e stabilizzazione dei vini per prevenire cambiamenti indesiderati tra l’imbottigliamento e il consumo. Attualmente, infatti, gli additivi come la bentonite e il carbone attivo vengono utilizzati per rimuovere le componenti del vino responsabili di astringenza, amarezza e imbrunimento, ma tutto questo percorso può causare delle perdite del 2-10% sul quantitativo finale di vino, costando conseguentemente all’industria vinicola australiana (protagonista di questo case study) circa 100 milioni di dollari l’anno.
Il professor Wilkinson ha però ottenuto ben 1.141.640 dollari per un progetto quadriennale, nell’ambito del programma Mid-Career Industry Fellowships dell’ARC, per esplorare le potenziali applicazioni della suddetta filtrazione a membrana nell’enologia. “La tecnologia – ha poi spiegato il ricercatore – può anche trasformare frazioni di pressatura pesante in vini di migliore qualità senza l’uso di additivi, migliorando volume e valore della produzione. VAF Memstar, azienda di filtrazione del Sud Australia, è fra i collaboratori del progetto, insieme all’Australian Wine Research Institute e Hill-Smith Family Estates”. Il partner industriale (Yalumba) supporta il progetto in linea con il suo impegno per la sostenibilità, fornendo accesso al vino e allineandosi agli obiettivi di riduzione degli additivi. “La collaborazione con partner industriali è essenziale per il successo della ricerca” ha poi concluso Wilkinson.