Il tradizionale Seder di Pesach, celebrato dagli ebrei, include la degustazione di quattro coppe di vino, una pratica radicata nell’antica ritualità festiva. Uno studio recente, pubblicato su Antiquity, ha rivoluzionato le percezioni sul vino romano, sostenendo che i vini mediterranei dell’epoca potessero essere altrettanto sofisticati di quelli moderni.
Come hanno sottolineato i ricercatori: “Esaminando le tecniche di vinificazione romane e confrontandole con quelle tradizionali in Georgia, si può facilmente evincere che l’uso dei cosiddetti dolia, grandi recipienti di argilla semi-sepolte, favoriva una fermentazione ottimale, contrariamente all’idea comune di vini romani di bassa qualità”. Gli autori dello studio, inclusi il dottor Dimitri Van Limbergen dell’Università di Gand, hanno scoperto che il vino romano non era necessariamente difettoso, ma piuttosto variegato nei sapori e nei colori, influenzati da tecniche e luoghi di produzione.
“La scoperta di cantine archeologiche come quella a Herodium ha fornito prove concrete di pratiche vinicole romane, come la macerazione, che influenzava il colore e il gusto del vino. – ha poi aggiunto Amichai Lourie, enologo della Shiloh Winery – Evidente il legame storico ebraico con questa bevanda. L’interesse e la cura per il vino esistevano già nell’antichità, evidenziati dalle prove archeologiche e dalle fonti testuali, come il Talmud”. Il vino, parte integrante della vita ebraica, viene consumato ritualmente durante lo Shabbat e le festività, inclusa la Pasqua. Lourie ha ribadito più volte che l’uva e il vino erano cruciali per la cultura e la pratica religiosa di questa diffusa fede religiosa.