Qual era il rapporto di Michelangelo Merisi con il Dio Bacco?
Qualcuno dice che possa essere considerato l’inventore della fotografia per come ha saputo interpretare la luce (e più in generale il chiaroscuro). Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi, ha vissuto i suoi pochi anni (nemmeno quaranta) a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, consumando gli eccessi nella vita e nell’arte con teatralità barocca, guidato da un temperamento luciferino e da una irripetibile genialità, esponente principe e ante-litteram del così detto Maledettismo. Nei suoi dipinti ci sono tutti i vizi e i piaceri dell’Umanità.
Non a caso Caravaggio ebbe come muse prostitute, peccatrici, plebee e cortigiane. Tra le voluttà predilette dal genio, vi fu certamente il bere, in particolare il vino, gesto sacro per antonomasia, si pensi alla transustanziazione durante la preghiera eucaristica nel Cristianesimo. Al bere vino ha dedicato uno dei suoi più celebri capolavori Il Bacco adolescente, esposto presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, fanciullo dalla pelle ebbra di alcool e dallo sguardo lascivo, come rasserenato dall’aver sorbito la sostanza dionisiaca.
Il vino domina anche ne Il Bacchino Malato (autoritratto?), ennesimo altro capolavoro del Maestro, conservato presso la Galleria Borghese. Qui il bicchiere non c’è, il dio Dioniso è visibilmente emaciato, con la cute del viso terrea e spenta, funestata dalla malattia. Nel quadro l’uva, che raffigura la Passione di Cristo nell’iconografia cristiana, ha alcuni acini meno rigogliosi, taluni appassiti, quasi a rappresentare la caducità della vita e la prossimità del finis vitae sed non amoris.
Che cos’era nella vita Michelangelo Merisi da Caravaggio? Un rissoso, un incolto, un isolato, un disperato. Non cercava, perché aveva già trovato tutto. E tutto era dentro il suo genio profondissimo, dentro la sua pittura, dove le muse e gli dei diventavano prostitute e bari, zingari e bevitori” (Andrea Pomella).