Da circa il 2010, con epicentro situato negli Stati Uniti, si è sviluppato un po’ in tutto il mondo un boom per quanto riguarda il mercato della birra artigianale, con conseguenti vertiginosi incrementi di produzione e di vendite. Giovani birrai da tutto il globo iniziano a sperimentare nuove varietà di luppolo che presto diventeranno onnipresenti. Sovente, però, i medesimi birrai, rimangono delusi dai loro prodotti al momento dell’assaggio.
“Bevi un sorso e pensi: aspetta un attimo, prima questo sapore non c’era” racconta J.C. Hill, cofondatore di Alvarado Street Brewery, un rinomato birrificio artigianale californiano. Il colpevole di questo sgradevole sapore è un composto volatile chiamato diacetile, noto per il suo sapore di burro e un tempo comunemente usato nei popcorn dei cinema. Questo ostacolo, fortunatamente, è stato aggirato proprio negli ultimi anni: il tutto grazie a una rivoluzione silenziosa che ha coinvolto l’industria della birra artigianale negli ultimi cinque anni, una rivoluzione che porta il nome di lievito geneticamente modificato.
Stiamo parlando di un enzima chiamato ALDC. Questo enzima previene la formazione del diacetile che, secondo i produttori, può comparire dopo l’inscatolamento, quando il lievito non ha completamente fermentato alcuni composti del luppolo. Per un’alternativa priva di organismi geneticamente modificati (OGM), i produttori di birra possono aggiungere l’ALDC direttamente nei tini di fermentazione, anche se ciò rende il processo più complesso. In maniera un po’ controversa, le aziende hanno condotto esperimenti che suggeriscono che il lievito ingegnerizzato può rendere possibile la produzione di birra luppolata addirittura senza luppolo!