Ma il “purchè se ne parli?” fa bene ai brand?
“Non c’è una spesa che non sia importante” è il claim del nuovo film pubblicitario di Esselunga per tv e cinema. Lo spot è stato ideato dall’agenzia SMALL di New York, girato tra le strade di Milano dal regista francese Rudi Rosenberg e prodotto da Indiana Production. Ha grosso modo la struttura narrativa di un “corto” ed è la storia di una (ex) famiglia tradizionale descritta attraverso gli occhi di una figlia di genitori separati.
In video arriva uno spaccato di vita ordinaria, che comincia all’interno di un punto vendita Esselunga da una madre alla ricerca di sua figlia che ritrova ammaliata e assorta a rimirare una pesca. Il frutto di fatto diviene il vero protagonista dello spot (e dell’hype digitale, ci arriveremo fra poco) che si conclude con un dolceamaro dialogo tra Emma e suo papà. Un film quindi ascrivibile alla categoria delle pubblicità emozionali che ha scatenato una eco enorme sui social da parte dei consumatori, persone che si affrontano – favorevoli e contrari – a colpi di post, hashtag, meme, like e dislike, mentre gli specialisti della comunicazione, sintetizzando il concetto e andando in fondo, si pongono una domanda fondamentale “ma la pubblicità (in quanto tale n.d.a.) non dovrebbe sostenere le vendite?”.
Quindi, se l’obiettivo di far parlare di sé è ampiamente centrato, si può affermare anche che brand awarness, store traffic e vendite dell’impero Caprotti ne beneficeranno? Concludendo, lo spot è un film educato, che affronta il compesso tema dei genitori separati vissuto con lo sguardo dell’innocenza: produzione che ad alcuni ricorda un’analoga esperienza IKEA (qui il video del 2016), esercizio meritevole anch’esso di attenta analisi. “Grazie al cielo non si può comprare la felicità. Non potremmo sopportarne gli annunci pubblicitari.” (Stan Lee).