“In poche parole, questo nostro primo studio ha rappresentato il traguardo di aver identificato la classe di composti responsabili dei cattivi sapori nel vino colpito dagli incendi. Riteniamo, inoltre, di aver individuato come tali composti si generino. E se si conosce la causa dei sapori affumicati, gli scienziati potranno lavorare su come cancellarli definitivamente dal vino”.
A parlare è l’esperto Tom Collin, addetto ai test degli alcolici contaminati dal fumo al WSU (Wine Science Center), il quale ha sviluppato una collaborazione con la UC Davis e l’Oregon State University per saperne di più sui cattivi sapori residui nel vino a seguito di secche stagioni ricche d’incendi. 17 i ricercatori coinvolti fra i vari istituti, attivatisi con maggior vigore proprio in ragione degli ultimi anni “di fuoco” per le aziende agricole statunitensi, in particolare quelle della west coast.
Dal 2020, infatti, il regime ininterrotto d’incendi ha iniziato a conferire alle uve coltivate nelle regioni colpite un invadente sentore di cenere e fumo. Tutta la filiera si è dunque attivata per risolvere, o perlomeno tamponare, il problema: dall’agricoltore e dal produttore sino al chimico industriale e al ricercatore universitario. Innumerevoli anche le bizzarrie di questi raccolti, come racconta ad esempio un coltivatore della Red Mountain American Viticulture Area (più di 20mila acri di vigneti): “Il raccolto era abbondante, ma c’erano ancora molti acini e grappoli verdi.
E quest’ultima tipologia è davvero insolita. Non credo di averla mai vista prima”. Molto sta dunque tentando la scienza e la tecnologia per epurare alla radice chimica questa problematica, ma si stanno tentando anche altre vie più rapide. Come la creazione di miscele di diversi tipi di uve per aggirare quelle dal sapore malsano oppure l’installazione di centinaia di sensori per monitorare meglio condizioni metereologiche e spostamenti di eventuali incendi.