Abbiamo spesso parlato, soprattutto in questa nostra rubrica dedicata alla tecnica di produzione (e non solo) di alcolici, delle possibili origini georgiane della coltivazione della vite da vino da parte della nostra fortunata razza di primati.
Vi è, in realtà, un paese che potrebbe rivestire degnamente il ruolo di sfidante per la Georgia, in questa corsa all’indietro basata sulle evidenze della più moderna archeologia enologica: stiamo parlando dell’Armenia. Basti pensare che sul Monte Ararat (icona armena, solo recentemente oltre il confine turco), secondo la leggenda, si posò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. Sempre qui il profeta avrebbe piantato le prime viti della storia umana. Alcuni vini contemporanei del Paese sono fatti con l’uva Areni, il cui DNA è simile a residui di vino risalenti a 6.100 anni fa rinvenuti nella vicina grotta Areni-1.
“La grotta è un luogo straordinario con prove di occupazione umana che risalgono a 1,5 milioni di anni fa. – spiegano gli archeologi ed esperti di enologia antica – All’interno della grotta sono stati rinvenuti enormi vasi chiamati karasi, sepolti nel terreno per la fermentazione e la conservazione del vino fin dal V secolo a.C.: questi vasi, con bocche sigillate con pietre, erano utilizzati anche per scopi cerimoniali”. Oggi sono molti gli imprenditori di settore che tentano di rivitalizzare tecniche e tradizioni millenarie. Ai margini della regione di Yerevan, ad esempio, vi è uno dei maggiori produttori di vino locali: l’Armenia Wine Company, la quale produce 6,5 milioni di bottiglie all’anno, più della metà delle quali biologiche. Gli edifici della fabbrica, elegantemente moderni e rivestiti con pietra vulcanica locale rossa e tufo, sono in parte in contrasto con la domesticità dei produttori delle regioni circostanti.