Nelle ultime settimane non si fa altro che un gran parlare di ChatGPT o più in generale di Large Language Models (LLM), la categoria di “bot” e “intelligenze artificiali” in cui rientra il primo. Gli iperbolici titoli di numerosissime testate italiane a straniere hanno fatto ciò che ci si aspetterebbe da loro, gonfiando a dismisura il fenomeno, portando il fenomeno al suo estremo, agitando le acque e fomentando una narrativa della catastrofe, dove scrittori, blogger e creatori di contenuti saranno in poco tempo rimpiazzati da robot.
Da questo prevedibile carosello sensazionalistico, che sempre accompagna una qualsivoglia svolta tecnologica, non è stato esente nemmeno il mondo del writing enologico. In molti si sono chiesti, infatti, se ChatGPT potesse reggere il confronto o addirittura surclassare e sostituire i giornalisti del vino. La risposta è no: né ora, né nel prossimo futuro. Ovviamente quest’affermazione potrebbe risultare più dubbia se riferita a blogger o scrittori amatoriali, poco appassionati e ferrati sul settore in questione.
Ma gli esperti sono concordi nel tranquillizzare gli animi: “L’unica cosa che ChatGPT non sarà mai in grado di fare, a meno di qualche scherzo umano molto creativo, è visitare un’azienda vinicola, intervistare l’enologo e passeggiare per i vigneti facendo osservazioni man mano. Non riuscirà a trovare domande interessanti da porre all’enologo, né a spiegargli esattamente perché ha deciso di co-fermentare Pinot Nero, Trousseau e Gamay, per esempio. Tutte queste cose richiedono analisi, giudizi e intuizioni che, per ora e forse per un bel po’ di tempo, sono ben al di là della portata di LLM come ChatGPT. Non fidatevi della mia parola. Chiedete a Noam Chomsky”. O, più semplicemente… al garante della privacy.