Un numero sempre maggiore di studi e di report sembra confermare quello che molti esperti annunciano e denunciano da anni: i consumatori bevono sempre meno vino e acquistano, conseguentemente, sempre meno. Non si tratta di quella grande novità, penseranno i più avvezzi agli andamenti del mercato enologico globale.
Gli studi, però, si fanno sempre più stringenti e diffusi, lasciando un minimo spiraglio di luce: per quanto le vendite siano generalmente a picco, gli acquisti per quanto concerne le fasce alte continuano ad aumentare, ribilanciando un minimo alcune delle più nere statistiche riguardanti i cali. Insomma, come dice il detto, il lusso non conosce mai crisi. Come confermato da Christian Miller, dell’ente Full Glass Research: “Direi che i risultati sono pessimi, ma non da bandiera rossa (o bianca) al punto in cui ci troviamo. C’è ancora un po’ di confusione nei confronti dell’anno precedente, a causa del COVID-19 che ha sporcato molte fonti di dati. Tuttavia, è chiaro che il secondo boom del vino, circa 1995-2015, è finito”.
Le causali sarebbero imputabili sia all’aumento dei prezzi che alla maggiore preoccupazione per le implicazioni dell’alcol sulla salute. La cosiddetta premiumization (ovvero la capacità di offrire prodotti d’eccellenza a prezzi accessibili ai più), tuttavia, rimane un fattore importante nei sopracitati studi e, sebbene in rallentamento, è ancora considerata una chiave di volta per il mercato. “La fiducia dei consumatori rimane solida di fronte alle pressioni dell’inflazione e del costo della vita. – ha affermato uno dei ricercatori coinvolti nelle più recenti analisi – Tuttavia, permangono segni di fragilità, soprattutto nel settore on–premise, dove il costo è il principale ostacolo all’aumento della spesa dei consumatori dichiarati”.