Cosa succede se anche gli inglesi bevono meno?
Scorriamo veloci le ultime decadi. I favolosi 80s, anni in cui ci scolavano fiumi di Cinzano, Martini e Riccadona e i barman miscelavano laccatissimi B-52, Long Island e Cosmopolitan, protagonisti anche della Milano da bere, sempre accompagnati con ciotoline di olive verdi giganti, disco music, strobo, che era subito Sotto Il Vestito Niente. Tom Cruise faceva il bartender Brian Flanagan in Cocktail, servendo ─ ammiccante più che mai ─ Red Eye con succo di pomodoro e uovo crudo. Poi sono arrivati i 90s: tutti seduti ai banconi a sorbire blue curaçao in un Angelo Azzurro (inventato da Mammina, mixologist ante litteram di Trastevere in piena ondata LGBTQ+) o un Sex on The Beach, bombardati da house music, manco fossimo stati Hugh Grant e Elizabeth Hurley.
A seguire gli 00s: si chiedeva al barista un Espresso Martini (la Kahlua!) per sentirsi, se non proprio Britney Spears, almeno un po’ Pete Doherty e Kate Moss di ritorno da Glastonbury con una Guinness in mano. Poi sono arrivati gli Spritz, le birre artigianali, che non puoi non conoscerle tutte ma proprio tutte, e i vini biologici da sorseggiare, vuoi mettere?, nelle enoteche arredate con i libri sugli scaffali di fianco alle bottiglie. Siamo ai giorni nostri e bere è divenuto demodé. Secondo una survey condotta da Drinkaware, quasi il 30% dei giovani inglesi sono astemi e circa un terzo degli ordini nei pub sono alcool-free.
Il fatturato delle bevande analcoliche, trainato da soft drink ed energy drink, è cresciuto negli ultimi 7 anni di oltre il 500%. Il nuovo trend GenZ-Millennials è la sober curiosity, il provare a “fare serata” senza toccare una goccia d’alcool, che poi quanto è bello svegliarsi il giorno dopo senza hangover? Le ragioni? “It’s the Economy, Stupid!”. Bere costa: per stonarsi si può accedere a sostanze più economiche come cannabis, ketamina e funghetti. It’s a crazy situation, but all I need are cigarettes and alcohol!